Tema Bronca - Gruppo Alpini Crocetta del Montello

- Sezione di Treviso -
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Attività > La scuola > Secondaria di 1° grado > Temi 2006-2007
Testo del tema presentato da Francesca Bronca, classe III F
premiato con una borsa di studio nell'anno scolastico 2006-2007
Il corpo degli Alpini, nasce il 15/10/1872 su “idea” di un appassionato della montagna, il Capitano Giuseppe Domenico Perrucchetti, un insegnante di geografia militare ricco di entusiasmo e di baldanza, che a soli 33 anni mise in atto la sua strategia seppur criticata da suoi superiori. La sua proposta per la creazione di reparti speciali nasceva dall’idea che per la difesa dei valichi alpini e delle zone di frontiera era necessario avere soldati provenienti dalle stesse vallate e dalle stesse montagne che dovevano essere difese. Nessuno infatti meglio di loro sarebbe stato in grado di conoscere sentieri, punti di passaggio obbligato, difficoltà da superare o da sfruttare …. E avendo alle spalle il loro paese, il loro campanile, la loro casa... la volontà di difendere la famiglia e il confine del territorio Nazionale sarebbe stata un tutt’uno!
Così cominciò la storia degli Alpini. In poco meno di 10 anni furono costituite le prime  compagnie, poi i Battaglioni ed infine i Reggimenti.
Nati per combattere sulle Alpi sostennero il loro 1° combattimento, nel 1896, in Africa durante la tragica Battaglia di Adua (Etiopia). Nel 1911, durante la conquista della Libia, quella che doveva essere una breve campagna coloniale si rivelò una dura e lunga battaglia che vide impegnati numerosi Battaglioni Alpini.
Ma fu dal 24 maggio 1915, giorno in cui anche l’Italia entrò in guerra contro l’Impero Austro-Ungarico, che diedero dimostrazione della loro tenacia. Per anni la loro penna nera sul cappello contrassegnava la presenza di reparti abbarbicati tra le rocce lungo tutto l’arco alpino... ed erano pressoché indomabili. Il nome degli Alpini divenne leggendario come i nomi gloriosi dei monti da loro difesi: Monte Nero, Monte Canino, Adamello, Tofane, Monte Pasubio, Monte Grappa, Ortigara...
Nomi famosi come lo sono le canzoni alpine.
Canzoni che se le ascolti non solo con gli orecchi ma con il cuore ti fanno capire lo spirito e il carattere dell’Alpino. Canzoni, quelle “originali”, nate in trincea o nei bivacchi dopo le marce. Gelo, neve, pioggia, equipaggiamento e vitto scadentissimi… questi i temi delle canzoni che aiutavano a tenere il ritmo delle interminabili marce. Quando invece raggiungevano i rifugi intonavano canti alle fidanzate, alle spose, ai figli e alle famiglie così lontane da loro e dagli spari del nemico…
…”ma gli Alpini non hanno paura”… E’ uno dei ritornelli che ricordo delle canzoni alpine che ogni tanto sento cantare dal nonno Silvio quando è insieme a mamma e agli zii…
E penso che forse la paura anche se c’era non aveva tempo di svilupparsi… Erano lì per combattere e difendere l’Italia… e loro combattevano per difendere le loro famiglie e la loro Patria.
“Monte Grappa tu sei la mia Patria…” Tutto il peso della lotta contro l’offensiva austro-tedesca sul Monte Grappa era ricaduto sulle Divisioni Alpine. E solo loro fu il merito della Vittoria con la loro sorprendente resistenza. Un Generale tedesco commentò così questa battaglia “…così fu arrestata a poca distanza dall’obiettivo, l’offensiva ricca di speranze, e il Grappa diventò il “Monte Sacro” degli Italiani. D’averlo conservato contro gli eroici sforzi delle migliori truppe dell’esercito austro-ungarico e dei loro camerati tedeschi, Essi, con ragione, possono andare superbi….”
Quando scoppiò il 2° conflitto Mondiale anche gli Alpini furono inviati lontano dai confini Italiani, lontano dalla loro Patria. Le campagne d’Albania, di Grecia e di Russia li videro protagonisti di strenuanti battaglie e instancabili avanzate in territorio nemico.
Avanzate che in taluni casi furono preludio a drammatiche ritirate… quale quella dal fiume Don, dove la Divisione Tridentina, Cuneense e Julia erano state inviate su progetto di Mussolini. Come sempre nella storia, i governi hanno voluto e dichiarato le guerre e ai popoli è toccato combatterle.
Gli Alpini inviati in Russia erano inadeguatamente equipaggiati, furono schierati in pianura e non in montagna, erano senza carri armati, ed eseguirono l’ordine di ripiegare nonostante fossero già circondati. Metro dopo metro a 40° sotto zero, con le pezze ai piedi per limitare i congelamenti e la cancrena… Solo coraggio e volontà di ritornare a casa e raccontare il sacrificio e il valore di chi non ce l’ha fatta li animò durante la battaglia di Nikolajewka e sfondando lo sbarramento russo uscirono dal mortale accerchiamento.
Giulio Bedeschi Sottotenente Medico arruolatosi come volontario, volle affidare i momenti della sua esperienza alpina nella steppa russa a carta e penna. Così scrisse “Centomila gavette di ghiaccio”, una dura testimonianza delle sofferenze subite durante la Campagna di Russia e la disastrosa ritirata. Centomila gavette. Centomila uomini che da lì non fecero mai ritorno. Nel suo libro lancia anche un appello a chi ha avuto la fortuna di non “morire a comando”: Portate a compimento il sogno di un mondo migliore.
Da qui un grande insegnamento: mai più guerre tra i popoli, ma la ricerca di pace e di cooperazione.
Gli Alpini, proprio per questo loro spirito furono da sempre impegnati in materia di protezione civile in occasione di catastrofi o calamità naturali.
Il 1° intervento alpino in tempo di pace risale al violento terremoto del 1908 a Messina, ma soprattutto  dopo la nascita dell’ ANA (8 luglio 1919) tutte le varie Sezioni Italiane furono coinvolte nelle drammatiche circostanze Nazionali e Internazionali a cominciare dal 1963 con il disastro provocato dalla Diga del Vajont, per continuare nel  1976 terremoto del Friuli, 1977 Val di Stava, 1980-Irpinia e Basilicata, 1987-Valtellina, 1991-Iran, 1989-Armenia, 1999-Albania, 2002 Valle d’Aosta e Molise, dove fra lo sgomento dei profughi, dei feriti, degli sfollati, non mancavano mai all’appello il Cuore, le braccia, la mente e i mezzi degli Alpini, pronti all’opera di ricostruzione, di distribuzione viveri, indumenti, coperte, di organizzazione efficiente e generosa.
In Bosnia-Erzegovina, nell’operazione “Speranza” i gruppi ANA sono stati invitati a collaborare nella ricostruzione ed ampliamento di una grande scuola multietnica a Zenica, a circa 45 km da Sarajevo. Il fatto che la scuola possa ospitare le 3 etnie, bosniaca serba e musulmana, è già simbolo di convivenza e tolleranza. All’ANA sono stati assegnati i lavori riguardanti l’impianto elettrico, sanitario e di riscaldamento, la posa dei pavimenti, la tinteggiatura, la costruzione di porte e finestre. Ricostruire con umiltà ed impegno là dove la sciagura, la guerra e l’odio hanno devastato tutto, è forse l’arma più potente di cui si sono sempre serviti gli Alpini per far sentire la loro voce.
Impegnati anche nelle Missioni di pace in collaborazione con le Forze Armate degli altri paesi nel 1997 in Mozambico, 1998 in Bosnia, 1999 Albania, 2000/2002 Kosovo, 2003-2005-2006 Afghanistan hanno contribuito a mantenere un ambiente sicuro e stabile creando requisiti e condizioni tali da garantire alle persone disperse e ai rifugiati, di far rientro nei propri villaggi e nelle proprie città. Inoltre con la loro assistenza alle autorità locali hanno consentito il funzionamento delle istituzioni in modo libero e democratico.
Per far fronte agli impegni assunti dall’Italia in ambito internazionale gli Alpini sono stati sottoposti a lunghi ed intensi periodi addestrativi, consapevoli che la preparazione al sapere adoperare un fucile o avere la determinazione necessaria per farlo, serve essenzialmente a dare ai popoli di questi paesi sicurezza, tranquillità e pace.
Perché, non dimentichiamoci che gli Alpini non sono dei ”Rambo”, delle macchine da guerra, sono dei semplici, spontanei, generosi UOMINI osservanti delle regole della convivenza civile, fedeli alle istituzioni, dediti al proprio lavoro e alla famiglia, solidali con il prossimo.
UOMINI, che attraverso i ricordi di chi ha vissuto in prima persona la tragedia della guerra o di chi con pazienza e dedizione ha raccolto le testimonianze mantengono vive le tradizioni e le gesta valorose di chi ha perso la vita per donarci la libertà, di chi ha attraversato l’inferno senza perdere il senso del dovere, della fratellanza, del rispetto…
UOMINI che con coraggio e tenacia non hanno “avuto paura” del buio, del sonno, della fame, del freddo, della sete, della tormenta, della neve, del nemico, dell’ansia, della fatica,  dell’orrore di uccidere, del dolore.
UOMINI che sono partiti “armati di fede e di amore” (come recita la Preghiera dell’Alpino) e che straziati dal piombo dei cannoni o dei mortai prima di morire chiamavano “Mamma”!
UOMINI che come fondamento della propria vita avevano onestà, umiltà, perseveranza, abnegazione, unità, amore di Patria, pace, solidarietà, valori, questi, che richiedono costantemente il confronto con umiliazioni, contrasti, fatiche e che per essere pienamente vissuti hanno solo bisogno di caparbietà e fede.
UOMINI che ci hanno lasciato un testamento spirituale: le guerre e le perdite subite devono essere un monito per le nuove generazioni…
Nuove generazioni che non devono sciupare un eredità dal valore inestimabile, abbandonandosi all’indifferenza e all’oblio di falsi miti o fuggevoli chimere, nuove generazioni che devono perpetuare il messaggio di chi “VA AVANTI” perché non vada disperso il loro patrimonio di umanità, scuola di vita per chi reggerà le sorti della società del domani, sempre più bisognosa di valori e punti di riferimento.
Vorrei dedicare queste righe ai miei nonni.
Nonno Silvio, Alpino classe 1929, che quando ha in testa il cappello d’Alpino e intona una canzone allontana da sé la tristezza di essere seduto su una carrozzina da 14 anni.
Nonno Pietro Artigliere da Montagna classe 1930 che da qualche anno è arrivato alla Baita Celeste accompagnato dalle note del “Silenzio” di una tromba alpina…. e al mio papà che da quel giorno non riesce più a cantare “Signore delle Cime”.
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